Fonetica e ortografia

Attaccato o staccato?

Per sapere come scrivere le particelle bolognesi in sintassi occorre considerare la loro combinabilità morfologica - Uno schema elaborato da Federico Galloni

Alfabeto

I nomi delle lettere sono oggi gli stessi dell'italiano (però sono maschili, inoltre si dice éffe, élle, émme, énne, érre, ésse con e chiusa) ma il vocabolario di Carolina Coronedi Berti (1869-1874) presenta un elenco che, adattato alla pronuncia e all’ortografia attuali, darebbe:

a, bai, zai, dai, ê, èf, giai, âca, i, èl, èm, èn, ò, pai, qû, èr, ès, tai, û, vû, żêta

cui va aggiunto égga per x, che anche il bolognese usa per certe parole straniere come taxi, taxéssta “tassì, tassista”. Per le restanti lettere e segni particolari non ci sono nomi tradizionali, per cui ecco alcune proposte: 

j           i semivuchèl
k          kâpa
w         vû dåppia
y          i grêca

å         a col balén
ä         a coi dû puntén
         èn col puntén
         
ès col puntén

ż        żêta col puntén
´        azänt acût
`        azänt grèv
^        azänt zircunflès

A proposito della x, va aggiunto che parole come "taxi, boxe" possono essere pronunciate e scritte taccsi, bòccs oppure (meno frequentemente) taggi, bògg.

Divisione in sillabe

Nel Manuale si va a capo secondo le regole italiane, per cui

vàd-der, Bulåg-gna, Caról-la, dscår-rer, diféz-zil, rigés-ster, e-spuṡiziån, a-sptèr.

Come visto ai paragrafi 0.3, 0.4, 0.7, 24.1 e 27.1 però, il trattino nell’ortografia bolognese ha già diverse funzioni, una delle quali è mostrare le vere doppie, il che è diverso dal raddoppio grafico della consonante per indicarne un semplice allungamento: Carólla “Carolina” indica una l foneticamente allungata, mentre csa vôl-la? “cosa vuole?” indica una doppia l vera, dovuta all’incontro di due l distinte.

Per evitare confusione dunque sarebbe opportuno, anziché interrompere le doppie consonanti puramente grafiche, andare a capo seguendo la sillabazione fonetica reale:

vàdd-er, Bu-låggn-a, Ca-róll-a, dscårr-er, di-fézz-il.

Per questo, sarebbe anche opportuno scrivere ri-géss-ter, es-pu-ṡi-ziån, as-ptèr poiché è evidente che la sillabazione fonetica reale è tra s e la consonante successiva e non come recita la regoletta scolastica (anche voi alle elementari scrivevate “sbagliando” mi-nes-tra? Sappiate che in realtà avevate ragione, perché scrivevate come si pronuncia!).

Chi non volesse complicarsi la vita può anche evitare di dividere le parole: oggi ci pensano i computer a sistemare le righe automaticamente!

Il trattamento di i e u

In bolognese, come in italiano, le lettere i, u possono indicare sia le vocali /i, u/ sia le consonanti approssimanti ("semivocali") /j, w/. Esempi: quíssti, turlurú /'kwisti, turlu'ru/ "questi, scemo", fiómm, qué /'fjom, 'kwe/ "fiume, qui". Si usa però la lettera j per indicare la semivocale /j/ quando si trova fra due vocali, es. tâja "taglia", ricorrendo al raddoppio grafico per indicarne l'allungamento dopo vocale breve, es. tajja "tegame".

La lettera w invece in bolognese non si usa. È per questo che "fiume, fiore, piano" si scrivono fiómm, fiåur, pian e non *fjómm, fjåur, pjan come sarebbe più logico: se si usasse la lettera j ogni volta che ricorre il fonema /j/, allora simmetria vorrebbe che si usasse anche la lettera w ogni volta che ricorre il fonema /w/, per cui "acqua, qui, guanto" sarebbero non âcua, qué, guant, ma *âcwa, qwé, gwant ". La lettera w però è tipica delle lingue germaniche, e in genere non si usa per gli idiomi romanzi (fa eccezione il vallone, che confina geograficamente col fiammingo).

Presa questa decisione come la migliore, resta però vero che l'uso di i, u sia per /i, u/ sia per /j, w/ lascia alcune ambiguità:

  1. "liuto" in bolognese si dice liût /li'uut/, pronunciato con due vocali ben staccate, come se fosse li-ût, e non *gliût come ci si potrebbe aspettare

  2. all'it. "biblioteca", anch'esso con /j/, corrisponde in bol. bibliotêca /bib-ljo'teeka/ e non *bibgliotêca, come ci si potrebbe aspettare

  3. le parole in -uåu, come afetuå, lusuåu ecc., si pronunciano come se fossero afetu-åu, lusu-åu ecc.

  4. la parola puîgla "pipita dei polli" si pronuncia /pu'iigla/, come se fosse pu-îgla

  5. all'it. "circuito", corrispondono in bol. le forme zircûit e zircuît; la prima forma ha /'uui/, la seconda /u'ii/, come se fosse zircu-ît

  6. le parole "coperta, tetto, coperchio, quatto, coperchietto, copertina" si possono pronunciare o con /kw/ o con /ku/, per cui si possono scrivere quêrta, quêrt, quêrc', quâc', quarcén, quarténa oppure cuêrta, cuêrt, cuêrc', cuâc', cuarcén, cuarténa (attenzione: si intende il diminutivo di "coperta", perché la "copertina del libro" si chiama coperténa; inoltre "quartina" nel senso di quattro versi è sempre quarténa con /kw/)

  7. le parole buâza, buèr "cacca di mucca, bovaro" si pronunciano come se fossero bu-âza, bu-èr

La situazione, apparentemente caotica, è però spiegabile mediante considerazioni evolutive:

  1. anche in italiano "liuto" si pronuncia /li'uto/, e non */'ljuto/. Il bol. ha mantenuto lo iato, perfettamente accettabile dalle sue leggi fonetiche interne

  2. parola colta la cui mancata palatalizzazione è probabilmente dovuta al precedente /b/

  3. si tratta di parole prese dall'it. (tuttora i parlanti genuini preferiscono espressioni alternative come carén o afezionè per "affettuoso" e da lússo per "lussuoso") che vengono adattate alla regola della fonetica bol. per cui /w/ nelle parole genuine si ha solo dopo /k, g/, e negli altri casi è necessario ricorrere allo iato

  4. questa parola viene dal latino pĭtuīta (cfr. il REW, o Romanisches Etymologisches Wörterbuch) di cui ricalca la struttura con lo iato /u'i/ anziché /'wi/ e rispetta quindi la regola di cui al punto precedente

  5. zircuît ha /k/, per cui potrebbe avere /w/, ma ha invece uno iato, rispecchiando la pronuncia it. popolare "circuìto", da cui viene (in it. colto sarebbe "circùito", da cui il bol. zircûit, con /'uui/ e dunque vocale lunga, non /w/)

  6. le parole cuêrta, cuêrt, cuêrc', genuine continuatrici del latino, hanno lo iato perché /ku/ ha sempre fatto parte di una sillaba diversa da quella della vocale successiva: infatti anticamente si diceva covèrta, covèrto, covèrchjo, poi la v cadde, ma la struttura sillabica rimase la stessa; cuarténa e cuarcén sono connesse a cuêrta, cuêrc' e ne mantengono la struttura sillabica; cuâc' infine, come l'italiano "quatto", viene dal latino coactus (cfr. REW) e si è evoluta in modo diverso dall'it., che ha /'kwatto/ (si noti il fenomeno, tipico di lombardo, piemontese ed emiliano occidentale, ma generalmente assente dal bol., per cui tt > c'). Per influenza della regola di cui al punto 3 però, in tutte queste parole si è diffusa anche la pronuncia con /kw/, e oggi la stessa persona oscilla continuamente fra le due possibilità (con preferenza per /kw/ lontano da accento, dunque in quarcén e quarténa). Scrivendo, gli autori ricorrono a qu- anziché a cu-, per analogia con quand, quant, quall "quando, quanto, quello" ecc., ma nell'Ortografia Lessicografica Moderna è ammesso anche scrivere cu-

  7. anche buâza, buèr hanno cancellato l'antica v di bovaccia, bovaro, mantenendo però la struttura sillabica originaria.

Poiché le regole evolutive, oltre a spiegare il perché della situazione esistente, sono anche una buona guida alla pronuncia per queste e parole analoghe, si è ritenuto superfluo non solo segnare j, w per /j, w/, ma anche indicare /i, u/ seguite da consonante con un segno particolare, come ad es. ï, ü. Se è probabile che lïût sarebbe stato ben accettato, c'è da immaginarsi che zircüît avrebbe causato una certa confusione, dal momento che il segno ü in molti dialetti settentrionali (piemontesi, lombardi, liguri, emiliani occidentali) indica già un altro fonema.


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