●Uso della congiunzione e
Si adopera anche in casi in cui manca in italiano:
détt e fât la guèra dal quénng' e dal dṡdòt |
detto fatto la guerra del 15-18 |
●Uso della preposizione ed (2)
In una sintassi autenticamente bolognese, gli aggettivi non direttamente connessi a un sostantivo o al verbo èser "essere" sono retti dalla preposizione ed (eventualmente nelle forme del partitivo):
tótt i dé l’é sänpr ed
qualla |
“tutti i giorni è così” (lett.
“è sempre di quella”) |
Si consideri anche il proverbio:
I sant ch'i mâgnen, i can ch'i dôrmen, i mlón ch'i péssen, an i n é gnanc ón di bón s'n amatéssen |
I santi che mangiano, i cani che dormono, i meloni che pisciano [acquosi], non ce n'è nemmeno uno di buono [lett. "dei buoni"] se non impazziscono [cioè bisogna tenersene alla larga] |
●Il periodo ipotetico
Si può ottenere con una frase al congiuntivo introdotta da “se” più una frase al condizionale, come in italiano:
s'al custéss manc a l
cunprarêv |
se costasse meno lo comprerei se fossi più giovane ti farei vedere io se la Maria fosse più bella sarebbe già sposata con Enrico |
ma si può costruire anche con la forma interrogativa al posto di “se” più congiuntivo:
custéssel manc a l cunprarêv
fóssia pió żåuven
a t farêv vàdder mé
fóssla pió bèla, la Marî la srêv bèle spuṡè
con Andrícco
●Il congiuntivo ottativo
Serve ad esprimere un auspicio, e si costruisce col congiuntivo non introdotto da “se”:
séppet bandatta! |
sii benedetta! magari! (lett. "fosse vero!") magari! (lett. "parlasse un angelo!") accidenti a te! (lett. "possa tu arrabbiare") |
Va osservato che, in questi esempi, il congiuntivo ha spesso una forma che ricorda quella interrogativa degli altri modi e che in genere proprio al congiuntivo non si usa: séppet è l'unico modo di fare l'imperativo di 2a pers. sing. "sii" (tranne sît attestato da Pietro Mainoldi ma ormai tramontato), e anche fóssel equivale a fóss "fosse" con l'inversione del clitico tipica delle frasi interrogative
●Le operazioni matematiche
4 + 3 = 7
quâtr e trî sèt, oppure quâtr e trî fà sèt oppure quâtr e trî
dà sèt oppure quâter pió trî (fà/dà) sèt
7 - 3 = 4 trî da sèt quâter
oppure trî da sèt fà quâter oppure trî da sèt dà quâter oppure
sèt manc trî (fà/dà) quâter
3 x 7 = 21 trî và sèt ventión
oppure trî par sèt ventión
21 : 3 = 7 ventión divîṡ
trî fà sèt oppure ventión divîṡ
trî dà sèt
●Uso del numerale
Al punto 6.4 del Manuale si è descritto l'uso del partitivo. Va aggiunto che in alcuni casi si usa il numerale "due":
sîv dû fradî? |
siete fratelli? |
Si osservi che questo uso di "due" ricorre anche al posto di "un paio":
veh che bèl pèr ed brèg oppure veh che dåu bèli brèg |
guarda che bei pantaloni! |
Tutto questo per una scarsa propensione del bolognese a omettere completamente una specifica di quantità nel plurale: se mancano l'articolo, il partitivo o altri specificatori come socuànt "alcuni", entra in gioco questo "due".
●Altri usi dei numerali
A volte si usano i numerali per vari usi espressivi. Ad esempio, nelle canzoni di Fausto Carpani c'è un ventzénc par tränta, che è un panino che lui ordinava a suo tempo, con le relative dimensioni. Ancora:
l é ón da zéncu'e trî òt l é un quèl da zéncu'e trî òt eh, sé, zéncu'e trî òt! óu, zéncu'e trî òt! |
è una persona approssimativa è una cosa di poco valore, una cosa raffazzonata (iron.) figuriamoci! accidenti, che roba! (es. riferito a una persona autorevole) |
Negli stessi casi di zéncu'e trî òt si usa sèt e quâtr ónng'.
●L’inversione e le domande
Come si è detto al punto 5.5 del Manuale, le domande dirette richiedono l’inversione dell’esp. sogg., ma non le domande indirette. È dunque importante saper riconoscere le domande indirette anche quando non sono tanto evidenti come tali:
parché stèt lé? parché et stè lé pò (mé a n al sò brîṡa)... |
perché
stai lì? - domanda diretta perché stai lì poi (proprio non lo so)... - domanda indiretta |
Anche le domande che ripetono l'affermazione dell'interlocutore non sono soggette a inversione:
a n
sån brîṡa
vgnó parché avêva pòra t avêv pòra? mo d côsa! a fâg al
lardarôl t è fât i cónpit tótt al dé t è détt? |
non
sono venuto perché avevo paura avevi paura? ma di cosa! faccio il
salumiere hai fatto i compiti tutto il giorno hai detto?
(affermaz. ripetuta, senza inversione) |
Attenzione: “ha detto che fa il salumiere?” si dice èl détt ch’al fà al lardarôl?, poiché non si sta ripetendo l'affermazione dell'interlocutore, ma si sta chiedendo cosa questi abbia detto (cioè si introduce una domanda di tipo differente).
Fra queste sfumature si è creata una zona grigia di casi che possono avere l'inversione (meglio) o possono anche non averla (meno bene):
mo quanti vôlt a t ò da dîr, ucaròt, che la marcanzî la s métt a pòst pulîd!? oppure mo quanti vôlt t òja da dîr, ucaròt, che la marcanzî la s métt a pòst pulîd?!, entrambe col significato di “ma quante volte ti devo dire che la merce si dispone per bene!?”. Nel primo caso è un’esclamazione esasperata, e non ci vuole l’inversione, nel secondo caso è una domanda (altrettanto esasperata), e ci vuole l’inversione.
●Uso della preposizione da
Come in italiano, per consumare i vari pasti abbiamo fèr claziån “fare colazione”, dṡnèr “pranzare” e znèr “cenare”, nonché andèr a fèr claziån, andèr a dṡnèr, andèr a zanna “andare a colazione, a pranzo, a cena”. Con fèr da si esprime invece la preparazione dei pasti:
csa
fèt da dṡnèr?
l é åura ed fèr da zanna in pòst ed fèr da brôd a fâg da sótt |
cosa
prepari per pranzo? è ora di preparare la cena anziché preparare il brodo faccio la pastasciutta |
Si noti inoltre:
incû
a mâgn da brôd incû a mâgn da sótt |
oggi
mangio una minestra (in brodo) oggi mangio la pastasciutta |
Per la preparazione di colazione e merenda invece si usa la costruzione italiana:
a vâg a preparèr la claziån/la mrannda | vado a preparare la colazione/la merenda |
●Uso della preposizione da
Oltre a avair a che fèr si può dire avair da fèr:
avän
a che fèr con un criminèl di pió grand! avän da fèr con un criminèl di pió grand! |
abbiamo
a che fare con un criminale di prima caratura! abbiamo a che fare con un criminale di prima caratura! |
●La costruzione s’a sån mé
Significa “se fossi al suo posto”:
s’a
sån mé a l câz fòra d’in cà s’a fóss mé a l cazarêv fòra d’in cà s’ai êra mé a l cazèva fòra d’in cà s’a fóss stè mé a l arêv cazè fòra d’in cà |
se
fossi al suo posto lo caccerei di casa se fossi al suo posto lo caccerei di casa se fossi stato al suo posto lo avrei cacciato di casa se fossi stato al suo posto lo avrei cacciato di casa |
●La preposizione ins
Viene da in + só e oggi si usa solo in espressioni fisse come ins dû pî “su due piedi” e stèr ins qualla “stare sul chi vive”. In altri dialetti si usa molto di più accanto o al posto di int (ad es. a Bobbio).
●La preposizione ed (1)
Oltre al prevalente cunvénzer a si sente anche cunvénzer ed: a l ò cunvént a stèr chèlum “l’ho convinto a stare calmo” e t an um pû brîṡa cunvénzer ed fèret lèżer al mî dièri! “non puoi convincermi a farti leggere il mio diario!”. Per altri usi di ed divergenti dall’italiano, cfr. punti 4.6, 7.1 e Û.5 del Manuale.
●La congiunzione es
A quanto detto al punto 5.1 del Manuale aggiungiamo che, leggendo le “Novelle popolari bolognesi” di Carolina Coronedi Berti (1874) si osserva come l’autrice ne facesse un uso sistematico, omettendo in compenso l’esp. sogg.!
●L'infinito in funzione di soggetto
Quando una frase ha come soggetto un verbo all'infinito, questo viene preceduto da una a. Abbiamo esitato a stabilire questa regola, dal momento che oggi nulla vieta di omettere la a, ma resta il fatto che a livello popolare, non riflettuto, questa compare sempre: quando si chiede a un dialettofono come si dice "fare", molti rispondono a fâg, cioè "io faccio", più concreto dell'infinito. Se si insiste i parlanti capiscono, e immancabilmente esclamano: "Ah, ai ò capé, a fèr!". Lo stesso succede con tutti gli altri verbi, e questo non solo a Bologna, ma in tutta l'Emilia.
Questa difficoltà del parlato popolare a usare l'infinito in funzione di soggetto se non è preceduto da a si rispecchia così sistematicamente in proverbi e canzoni che abbiamo deciso di farne una regola, per quanto non seguita dai più acculturati:
e a fèr l amåur / s'an i é la panza péṅna / l é come fèr l aròst sänza äl parnîṡ «e fare l'amore se non c'è la pancia piena è come fare l'arrosto senza le pernici» (da L'Inserenèta ed Faṡulén, cantata da Quinto Ferrari)
a ciapèr una dòna in parôla l é cme ciapèr un'anguella par la cô «prendere una donna in parola è come prendere un'anguilla per la coda» (proverbio)
Anche nell'italiano di Bologna parlato dai più anziani e di basso grado d'istruzione si sente a lavorare fa béne e simili.
●Preposizioni 4
Sappiamo dal Manuale (punto 27.6) che "con me, con te, con lui/lei, con noi, con voi, con loro" si dicono mîg, tîg, sîg, nòsc, vòsc, sîg. Al giorno d'oggi si sentono più spesso (almeno in città) gli italiani con mé, con té, con ló, con lî, con nuèter o con nó, con vuèter o con vó, con låur, ma le forme mîg, tîg ecc. sono tuttora le più genuine. Ciononostante, esiste un caso in cui non si possono usare, cioè quando il complemento di compagnia è ulteriormente specificato, ad es. da una frase relativa o da un aggettivo. Esempi:
a n pòs brîṡa lavurèr con
lî ch'la m stà sänpr atâc! a n pòs brîṡa lavurèr con lî sänpr atâc! cum fâghia a fèr al lèt con té ch't i stè in vatta? mî mèder l'êra a cà con mé cinén |
non posso lavorare con lei che mi
sta sempre attaccato! non posso lavorare con lei sempre attaccato! come faccio a rifare il letto con te che ci stai sopra? mia madre era a casa con me piccolo |
●Preposizioni 3
In spagnolo, la preposizione por "per" si usa anche quando in italiano ci vuole "perché" + verbo essere. Esempi:
ha sido denunciado por ladrón lo ha hecho por violento |
è stato denunciato perché è un
ladro lo ha fatto perché è un violento |
Qualcosa del genere è possibile anche in bolognese. Si tratta di una costruzione rara, ma di cui abbiamo già trovato due esempi, uno proveniente da una poesia pubblicata dal bolognesissimo Guido Zamboni, un altro lo abbiamo sentito sulla montagna bolognese (precisamente a Gaggio, da cui la trascrizione per ōrb, cui corrisponderebbe par ôrb in bolognese cittadino):
par
ṡnòbb per ōrb |
perché è snob perché è cieco |
●Il plurale dei nomi alterati
Alle regole date nel Manuale quanto al plurale dei nomi, va aggiunto che le forme alterate femminili in -éṅna, -âza fanno sempre -éṅni, -âzi:
dunéṅna-dunéṅni, cudghéṅna-cudghéṅni, dunâza-dunâzi, pundgâza-pundgâzi "donnina/e, cotichina/e, donnaccia/e, topaccia/e". Diversamente dal plurale delle altre parole femminili, questa regola non ha eccezioni.
C'è però anche chi preferisce dire -én: si tratta di una variante individuale, ma noi consigliamo di seguire la regola, evitando così errori.
●Uso di qué, lé, là
L'uso dei tre gradi di distanza di cui al punto 8.5 (anche in interazione coi pronomi dimostrativi personali di cui al punto 30.6) dev'essere coerente: "quello è ancora là" si dirà lu-là l é anc là, e non *"lu-lé l é anc là", perché lé e là indicano diversi gradi di distanza.
●Alcuni verbi particolari
Alcuni verbi che si trovano in genere all'infinito ma che, volendo, si possono coniugare:
creèr "creare" mé a créi |
sêglier "scegliere" mé a sêli |
laureères "laurearsi"
mé a tói la làurea |
Per vó a seglî i parlanti sono in dubbio e hanno ricostruito questa forma più che indicarla come realmente usata, in quanto preferiscono dire a tulî "prendete" o usare una perifrasi. Va osservato che il termine genuino per "scegliere" in bolognese è dlîżer (dal lat. diligere), che si coniuga regolarmente (cfr. appendice verbale del Manuale). L'arrivo dell'italianismo sêglier, per quanto semidifettivo, ha però messo in crisi l'uso di dlîżer in varie forme, soprattutto l'infinito e il participio passato (dove si usa ormai solo sêlt al posto dei vecchi adlît o adlétt).
dvair "dovere" mé a dèv / a dèvv |
crudèr "cadere" mé a crôd |
Per "dovere" in bolognese genuino si usano perifrasi o altri verbi, come avair da, tgnîr ecc. Un tempo esisteva però un dottismo dvair, ancora possibile per quanto raro all'infinito, coniugato come indicato in tabella. Per crudèr la 3a persona al crôd è strana, ma tipica del dialetto cittadino, mentre in campagna c'è la più regolare al crôda.
●Aggettivi dimostrativi
Al punto 8.4 del Manuale si parla degli aggettivi dimostrativi, dando forme diverse per genere e numero: ste o st gât, sta gâta, sti gât, stäl gâti "questo gatto, questa gatta, questi gatti, queste gatte". A questa regola va aggiunta la possibilità, di probabile origine rustica ma riscontrabile anche in certi parlanti cittadini, di usare sempre ste indipendentemente da genere e numero: nelle sue canzoni, Quinto Ferrari canta ste fammna "questa femmina", ste dulûr "questi dolori" ecc.
●Ausiliari
A quanto detto sugli ausiliari ai punti 13.2 e 17.9 del Manuale occorre aggiungere un'osservazione. Con as "si" impersonale si usa, analogamente all'italiano, l'ausiliare èser, ad es. dåpp ch'as é magnè l é bèl fèr gabanèla "dopo mangiato è bello fare un pisolino" (lett. "dopo che si è mangiato"). In questo caso è però altrettanto frequente e corretto dire dåpp ch'as à magnè (lett. "dopo che si ha mangiato"), dal momento che magnèr vuole in genere ausiliare avair, es. ai ò magnè "ho mangiato".
Contrariamente ad altri dialetti emiliani e veneti non si può invece usare avair quando "si" è riflessivo o pronominale: al s é livè è l'unico modo di dire "si è alzato" (cfr. invece il ferrarese rustico al s à alvà e al s à santà "si è seduto", lett. "si ha alzato, si ha seduto").
●Concordanza di bèle "già"
Fino a poco tempo fa i più anziani potevano dire, per "sono già vecchi, già morti, già nuovi" ecc., oltre a i én bèle vîc', bèle mûrt, bèle nûv, anche i én bî e vîc', bî e mûrt, bî e nûv, alla lettera "sono belli e vecchi, belli e morti, belli e nuovi". Il fenomeno di concordanza di bèle, che risulta solo al plurale maschile, era dovuto a un'analisi inconscia (ed etimologicamente corretta) dei parlanti per cui la parola significa "bello e" (cfr. italiano "bell'e pronto"). In effetti in bolognese antico "già" si diceva żà (come ancor oggi in ferrarese, accanto a bèla), poi sostituito da bèle in tutte le posizioni, anche quella finale di frase, ad es. a l sò bèle "lo so già" (in italiano non si può dire *"lo so bell'e").
●Concordanza di ctè "cosa"
In bolognese ctè significa "coso, aggeggio, affare" e ctalèr "cosare, trafficare". Il sostantivo ctè riferito alle persone è sia maschile che femminile: cal pôver ctè "quel poverino", pôvra ctè! "poverina!".
Sentito come scorretto e popolare, esisteva però fino a poco tempo fa anche la forma femminile ctèla: la ctèla "quella tale", cla pôvra ctèla "quella poverina". La quasi totalità della popolazione diceva comunque ctè anche al femminile, e oggi la totalità.
●Esclamazioni con gli aggettivi dimostrativi e gli articoli indeterminativi
In bolognese, le esclamazioni del tipo "quante storie!" oppure "ha tanti soldi (che non lo sa neanche lui)" vogliono l'aggettivo dimostrativo: eh, quanti ed cäl stòri! (lett. "eh, quante di quelle storie!"), l à tant ed chi quatrén ch'an al sà gnanca ló (lett. "ha tanti di quei soldi").
Vuole invece l'articolo indeterminativo la costruzione "razza di" al singolare:
râza d un farabótt mo che râza d un inbezéll! râza d una scuénzia!
râza d un ninén! |
razza di farabutto ma che razza d'imbecille! brutta smorfiosa! razza di
maiale! (sing.) |
●Preposizioni 2
Oltre a inparèr a e insgnèr a esistono anche inparèr ed e insgnèr ed, che a volte si trovano anche nell'italiano di Bologna:
a vói inparèr ed dscårrer al
bulgnaiṡ insàggnum bän ed sunèr la chitâra! |
voglio imparare a parlare il
bolognese insegnami a suonare la chitarra! |
Lo stesso discorso vale per inżgnères:
al s inżaggna ed/par fèr incôsa pulidén | s'ingegna a/per fare tutto per benino |
●Preposizioni 1
Al punto 19.5 del Manuale è dato un elenco di preposizioni. Fra queste, drî da "dietro a". Oggi in linea con l'italiano si può anche dire drî a, ma occorre fare attenzione al fatto che in bolognese genuino c'era differenza di significato tra drî da e drî (a):
al s é arpiatè drî dal
óss a vâg drî da cl âlber
drî a Raggn drî a cla partîda là |
si è nascosto dietro alla
porta vado dietro a quell'albero
lungo il Reno, lungo via Riva Reno in seguito a quella faccenda |
Per "lungo" si può anche dire ed lóng da, ad es. ed lóng dala strè.
Inoltre, drî a significa anche "dopo" nel senso di "a causa di, in seguito a", es. drî al falimänt, ai é tuchè d zarchèr da lavurèr "in seguito al fallimento, ha dovuto cercare un lavoro", drî ala promoziån, al ciâpa un vaniżén ed bajûc "dopo la promozione, guadagna tanti soldi".