Äl Tårr dla Mercanzî
Le Torri della Mercanzia


Stra l Marchè ed Mèż e Piâza dla Mercanzî ai é un brótt palâz dal prinzéppi dal Novzänt. Par tirèr só cal bèl giujén i cazénn żå trai tårr, ch’i avêven dscuêrt ṡlargànd al Marchè ed Mèż par fèren qualla che incû in itagliàn la s ciâma Via Rizzoli. Äl pió inpurtanti ed stäl tårr äl s ciamèven Artenîṡi e Ricadòna. A cal tänp ai fó una gran discusiån a Bulåggna, ma purtròp i vinzénn quî dal zimänt. Anc Carlén Mûṡi a i fé una canzunatta, bléṅna anc s’an s pôl brîṡa èser d acôrd, col zarvèl d incû, con la sô cuncluṡiån bâsta ch’séppa...

Fra Via Rizzoli e Piazza della Mercanzia sorge un brutto palazzo d’inizio ’900, per erigere il quale furono abbattute quattro torri minori, scoperte durante i lavori di allargamento di Via Rizzoli. Le due più importanti si chiamavano Artenisi e Riccadonna. All’epoca ci fu un forte dibattito a Bologna, ma purtroppo vinsero i fautori del mattone. Carlo Musi in proposito compose addirittura una canzone, carina anche se col senno di poi il qualunquismo della conclusione non è condivisibile...  Äl dåu vèci ch’i êren prémma e cäl dåu ch’i an truvè dåpp...

Una vôlta, Bulåggna l’avêva pió ed 100 tårr. Incû purtròp ai n avanza såul 23, come dîr pôchi de pió dal sémmbol dla zitè (l’Anèla e la Gariannda), e dal rèst ai é sparé una móccia ed bî quî ch’i farénn la zitè anc pió bèla ed quall ch’l’é adès. La cåulpa l’é stè sicuramänt di bunbardamént dla guèra, mo anc d una zêrta mentalitè ch’la cradd che al prugrès al séppa fèr di bagâi urénnd sänza rispèt par la natûra e la stòria. Epûr i êren stè in tant a protestèr par l abatimänt däl Tårr dla Mercanzî: al profesåur ed filoofî Giorgio Del Vecchio al fé una gran cagnèra par salvèrli, e l utgné anc l apòg’ dal sô amîg D’Annunzio e d un stracantån ed zitadén ch’i firménn la sô petiziån. Mo al fó incôsa inóttil...

Un tempo, Bologna aveva più di 100 torri, ma oggi purtroppo ne restano solo 23, e fra queste le due, Asinelli e Garisenda, che costituiscono il simbolo della città. Del resto sono scomparse moltissime altre opere che renderebbero la città ancora più bella di quanto già non sia. La colpa è senz’altro dei bombardamenti bellici, ma anche di una certa mentalità che crede che il progresso consista nell’erigere orrori senza rispetto per l’ambiente e la storia. Eppure erano stati in tanti a protestare per l’abbattimento delle Torri della Mercanzia: il professore di filosofia Giorgio Del Vecchio ingaggiò una lotta furibonda per salvarle, ottenendo anche l’appoggio del suo amico D’Annunzio e di tantissimi cittadini che firmarono la sua petizione. Ma tutto fu inutile...

Víttal qué, int al stîl da ṡgrandigión ed cal perîod, un artéccol ed Del Vecchio publichè dal Carlén al dé di 8 ed mâż dal 1916, e pò la sô petiziån - Ecco, nello stile roboante di allora, un articolo di Del Vecchio pubblicato da “Il Resto del Carlino”, l’8 maggio 1916, seguito dalla petizione:


“I doveri e le cure tanto maggiori, che incombono a ciascuno in quest’ora, non invoglierebbero certamente a discutere di torri o di questioni edilizie;Qué as vadd anc cla pió cinéṅna... ma è pur forza volgere a ciò, per un momento, lo sguardo, se appunto ora v’ha chi si accinge a mutilare irreparabilmente la parte più caratteristica di Bologna. Mentre l’animo nostro è turbato dalla teutonica devastazione di Lovanio e di Reims, e da quella austriaca degli Scalzi e di Sant’Apollinare, alcuni italiani si dispongono con freddo animo a cagionare simili guasti, e non in terra d’Austria o Turchia, ma nella stessa nostra città, distruggendo senza ragione due delle quattro torri che presso i palazzi dei Mercanti e degl’Interpolatori testimoniano ancora la bellezza e la forza del medio evo bolognese. Sarà possibile che abbia effetto tanta dissennatezza? E sia; ma non senza che si levi almeno una voce commossa di protesta da quanti hanno senso di storia e d’arte, e non riconoscono in alcuno – sia pure investito per accidente di pubblica autorità – il diritto di manomettere il patrimonio ideale, che rappresenta l’anima cittadina ed appartiene in solido alla presente e alle future generazioni.
“Le torri dei Riccadonna e degli Artenisi sono, esteticamente e storicamente, un sol tutto con quelle dei Garisendi e degli Asinelli; né importa se per lungo tempo furon nascoste; chè anzi la secolare oblivione ne ha reso ora più grata la scoperta. Questa, se maggiore fosse il culto della bellezza nel nostro popolo, avrebbe dovuto esser celebrata da riti unanimi nella città, come in un caso analogo sarebbe accaduto a Roma o nell’Ellade, che vi avrebbero forse scorto l’indicazione di un qualche fato; e la scoperta avrebbe dovuto suscitare in tutti gli spiriti un fervore intenso e quasi geloso di conservazione e reintegrazione. Certamente le torri quali ora appaiono, mozze e sfigurate dagli edifici che per tanto tempo vi si addossarono, non possono rimanere; è mestieri metterle in luce, riportarle ala prisca altezza e ridar loro in tutto la sembianza d’origine. Chi non sappia in qualche modo anticipar colla fantasia tale necessario lavoro, non si attenti di giudicare se le torri debbano o non debbano essere conservate; perché conservare in questo caso significa innanzi tutto restaurare. La reintegrazione compiuta convincerà poi anche i dubitosi e gli ostili, come accadde già sempre in analoghe congiunture; per esempio a Milano, ove non è alcuno il quale oggi non riconosca il folle errore che sarebbe stata la demolizione, già quasi deliberata, del Castello Sforzesco; e a Genova, ove ognuno ammira il restaurato Palazzo di S. Giorgio, miracolosamente salvo dopo che già per l’aberrazione di quasi tutti parea condannato.
“Se la ragione ancor vale, non si distrugga in un attimo ciò che si dovrebbe poi sempre rimpiangere! Non si aggiunga ancora una pagina a quel triste e troppo lungo capitolo delle distruzioni bolognesi, che il Rubbiani con giusta melanconia di poeta intitolava lacrymae Bononiae! Nulla – egli osservava – nulla rimase al sole di Bologna romana, dei suoi archi, dei suoi templi e delle sue arene, mentre Ancona, Brescia, Verona, cento altre città d’Italia e di Francia veggono ancora in piedi fra le case e nelle piazze magnifici avanzi della romana gloria. Nulla del bel duomo romanico, lodato come una meraviglia da Leandro Alberti e Giorgio Vasari; ove la sola Cappella Garganelli, al dire di Michelangiolo, “valeva una mezza Roma”. Nulla del palazzo dei Bentivoglio, più bello, a giudizio di chi lo vide, del palazzo de’ Medici in Firenze e di quello dei duchi di Urbino; anzi “la più bella casa di terra cotta che esistesse in tutta la cristianità”; con ornamenti insigni di marmo e d’oro, con freschi del Francia e del Costa corti e fontane all’interno, ed un’alta torre, anch’essa splendida di pitture. Piange il cuore a pensar distrutta tal meraviglia, che avrebbe fatto di Bologna un’emula e forse vittoriosa di Firenze e Ferrara nel rifiorire delle lettere e delle arti; e distrutta non da Goti o da Vandali, ma per furia di popolo bolognese! [
Nòta dal Sît Bulgnaiṡ: al palâz di Bäntvói al fó dstrótt int al 1507 dai fanâtic dal pèpa Giólli II, ch’al dé i òt dé ala signurî e al mité só una tiranî clerichèl. Par furtóṅna, in st’mänter ch’i scalastrèven al pió bèl palâz signurîl d Itâglia, dimónndi ed chi scalmanè i carpénn såtta äl macêri che pròpi låur i fèven caschèr żå - Nota del Sito Bolognese: palazzo Bentivoglio fu distrutto nel 1507 da una folla fanatizzata favorevole al papa Giulio II, il quale soppresse la signoria e instaurò una tirannia clericale. Almeno, mentre danneggiavano il più bel palazzo signorile d’Italia, molti di quei vandali morirono sotto le macerie da loro stessi fatte cadere] Egualmente abbattuta, per la stessa follia iconoclasta, la grande statua bronzea di Giulio II, capolavoro di Michelangiolo Buonarroti, che sorgeva dinanzi a S. Petronio [Stavôlta i fónn quî ch’i êren pr i Bäntvói, 1511 - Stavolta furono i seguaci dei Bentivoglio, nel 1511]. Demolito quattro volte il Castello di Porta Galliera, colle sue quattro torri agli angoli, somigliante al Castello di Ferrara; uno dei più belli esempi dell’architettura militare del cinquecento. Ed altre ed altre distruzioni di cose egregie rammentava pure il Rubbiani, compiute tutte per mano non di nemici esterni, ma di bolognesi: per quel “po’ di ostrogotico” che, com’egli diceva, è stato sempre in Bologna nella teste dirigenti [Però, dåpp al prémm “pian regolatåur” ṡbagliè 1948-55, la Cmóṅna råssa la méss un “véncol al paeṡâg’” int äl culén ch’l à inpedé la speculaziån e l à regalè a Bulåggna l ónnic spâzi un pô frassc d estè ch’ai sía int la nòstra zitè e int i sû dintûren - Va detto però che, dopo il primo ed erroneo piano regolatore 1948-55, la giunta rossa decise di istituire un vincolo paesaggistico sui colli che ha impedito la speculazione e ha regalato a Bologna l’unico spazio di frescura estiva che ci sia in città e dintorni]. Questa mania distruttiva, che spinse pur ieri ad abbattere alcune delle più belle Porte cittadine, e minaccia ora anche il residuo delle duecento torri, che erano il principale ornamento della vetusta Bologna, ha almeno qualche scusa nelle necessità dell’espansione o del rinnovamento edilizio? Nessuna; perché fu già dimostrato dagl’intendenti che la conservazione delle torri non impedirebbe di edificare il nuovo palazzo della Provincia, il quale potrebbe senza danno, anzi con vantaggio essere arretrato di alcuni metri rispetto al primitivo disegno. Resta il calcolo del valor venale del suolo; ma a questa stregua, perché non plaudire anche all’idea di quel bizzarro architetto Guido Antonio Costa, che nel 1654, interrogato sul modo di provvedere materiali per una fabbrica, propose che si abbattessero, come “machine inutili”, l’Asinella e la Garisenda? Ecco un alleato spirituale dei nuovi demolitori!
“Intanto, mentre la furia di questi si accanisce contro gli avanzi di Bologna bella, ride quasi deserta, o sparsa solo di poche ville, quella meravigliosa corona di colli, che offrirebbe sì largo spazio per l’incremento nuovo e sano della città. Ma il demolire, si sa, è di minor fatica che il costruire; né l’idea di un possibile Viale dei Colli bolognese varrebbe a trattenere, benchè per poco, le brame dei fanatici sacerdoti del piccone [
Qué invêzi l autåur al péssa fòra dal urinèri: cum avän détt pió só, al véncol al paeṡâg’ int äl culén l é stè un gran vantâż, estêtic e prâtic, par la zitè, che intinimôd l’à catè däli ètri manîr par ṡgrandîres. As pôl dîr che se, come quelcdón al vôl fèr incû, al véncol al dvintéss pió dàbbel, la srêv una gran brótta dṡgrâzia, che biṡåggna evitèr asolutamänt -
E qui non si può più concordare con Del Vecchio: come si è detto, il vincolo paesaggistico sui colli è stato di grande beneficio, estetico e pratico, alla città che ha trovato altre vie di espansione, tanto che l’oggi ventilato ridimensionamento del vincolo sarebbe una vera disgrazia da evitare ad ogni costo].
“Supponiamo ora in fine, per semplice fantasia, che in qualche antica cronaca si leggesse come, essendo stata ordinata la distruzione del Palazzo dei Bentivoglio, il popolo fosse insorto, e avesse difeso col proprio braccio quell’opera di bellezza contro l’ordine insano, preservandola in tal modo dalla rovina; non benediremmo noi pronipoti un così fatto moto popolare, e non ne saremmo grati in piena coscienza agli autori? Ma ciò non accadde allora per quel palazzo, né accadrà ora per le torri degli Artenisi e dei Riccadonna; il popolo bolognese non si ridesterà, e lascerà compiere la rovina nuova, come compì quell’antica; salvo a rimpiangere poi, troppo tardi, la perduta bellezza…
“Sunt lacrymae Bononiae!”

Ordine del giorno

Bologna, febbraio 1917.

I sottoscritti, in accordo coi voti già espressi dal Comitato per Bologna storico-artistica, dalla Commissione per la conservazione dei monumenti dell’Emilia e dalla Società Francesco Francia;

considerando

che le torri degli Artenisi, dei Riccadonna e dei Guidozagni, accanto a quelle maggiori degli Asinelli e dei Garisendi, formano una testimonianza caratteristica del medio evo bolognese;

che questo gruppo di torri, pur varie di altezza e di forma, costituisce storicamente ed esteticamente un sol tutto, senza riscontro in alcun’altra città;

che la stessa varietà e asimmetria delle torri radunate in sì breve spazio ne rende il gruppo più pittoresco, e appunto la vicinanza delle minori fa che meglio risalti, secondo il primitivo concetto, la mole eccelsa dell’Asinella;

che il rude aspetto anche delle minori torri, costruite a cagion di difesa e non di ornamento, ne rappresenta al vivo il carattere ed ha perciò un motivo intrinseco di bellezza;

che, d’altra parte, nessuna ragione finanziaria può costringere una città storica a demolire i suoi monumenti per ricavarne il valor venale del suolo;

che l’allargamento della via Rizzoli e la costruzione del disegnato palazzo della Provincia possono avere effetto senza pregiudizio delle torri in questione, solo che si arretri di alcuni metri il fianco orientale del costruendo palazzo;

che tale arretramento è sommamente opportuno anche per riguardo ai prossimi palazzi della Mercanzia e dei Drappieri, la prospettiva dei quali sarebbe turbata dalla immediata vicinanza del moderno enorme edificio;

che l’estensione di questo fino all’area occupata ora dalle torri avrebbe per ulteriore conseguenza l’abbattimento, gravissimo anche sotto l’aspetto finanziario, delle case Reggiani, necessarie per unanime giudizio a dividere la piazza della Mercanzia da quella di Porta Ravegnana;

fanno voto

che le torri predette siano conservate e ridotte in pristino coi restauri opportuni.


Cum avän détt, cla vôlta lé i vinzénn quî dla speculaziån e dal “prugrès”, acsé Bulåggna la i fé l afèri ed Cazàtt e la dvinté pió puvratta. Tótt quall ch’ai avanza däl Tårr dla Mercanzî l’é una lâpida, méssa såura al brótt palâz ch’l arvéṅna tótta la prospetîva dla Piâza dla Mercanzî:

Come si è detto, vinsero i fautori della speculazione e di un malinteso progresso che risultò dannoso per la città e la impoverì. Tutto quel che resta delle Torri della Mercanzia è una lapide, apposta sul brutto palazzo che rovina l’intera prospettiva di Piazza della Mercanzia:
 

Qui 
sorgevano 
le antiche torri
delle famiglie gentilizie
Artenisi Guidozagni Riccadonna
inconsultamente demolite
negli anni 1917-1918
_______________
La Società "Assicurazioni Generali"
Il Comitato per Bologna storica e artistica
posero
luglio 1958

E nó a i vlän ażuntèr: “posero ad eterno monito per coloro che credono che il progresso sia distruggere il meglio di ciò che si ha già”. 


 Ala prémma pâgina
Và só