Zirudèla dal Sît
Bulgnaiṡ Zirudèla, chèro amîg, |
Ala zerudèla
(Fernando Panigoni) Zerudèla! oh, chèra poeṡiôla!
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La rizèta dla zirudèla (Ezio Scagliarini, dialàtt dla Ciṡanôva/dialetto di Decima) Zirudèla, che gran
quèl |
Etimologia della parola secondo Attilio Levi, da Archivum Romanicum, vol. XI (1927), pag. 398
Moden. zirudela "carrucola; filastrocca".Un antico componimento popolare: la zirudella
Fausto Carpani
Il cardinale Giuseppe Mezzofanti (Bologna 1774 - Roma 1849) è noto ai più per la bella e signorile strada a lui intitolata fuori porta Santo Stefano. Non tutti sanno che l’illustre porporato, oltre che uomo di chiesa, fu un prodigioso poliglotta (conosceva una cinquantina di lingue straniere coi relativi dialetti) e insegnò greco e lingue orientali all’Università di Bologna. Questa padronanza di idiomi esotici non gli impedì di essere anche un cultore del dialetto natìo e a lui dobbiamo una tra le più antiche zirudelle pervenuteci(1). Non dimentichiamo che tale forma espressiva dialettale era in origine mandata solo oralmente, anche perché gli autori erano spesso popolani di grande arguzia e fantasia ma inesorabilmente analfabeti.
A questo punto, però, giova spiegare cos’è esattamente la zirudella. È un componimento scherzoso in dialetto e veniva declamato in particolari occasioni quali nozze e pranzi campagnoli. Poi l’utilizzo si allargò a lauree, compleanni e altri eventi che comunque prevedevano un lauto pranzo, durante il quale il zirudellaio rivolgeva ai festeggiati il suo indirizzo poetico. L’origine è sicuramente antica e la declamazione era cantilenata con accompagnamento musicale in quartine di versi ottonari a rima baciata, che si concludevano invariabilmente con le parole “Tòc e dâi la zirudèla” oppure “Tícc e tacc la zirudèla”. Dall’800 in poi si è gradualmente perduta questa forma ripetitiva insieme all’accompagnamento musicale e la zirudella è divenuta semplicemente un componimento in rima da declamare, magari facendo riferimento a fatti del giorno. In ciò furono maestri due personaggi quali Giuseppe Ragni, il re degli imbonitori della Piazzola (2) e l’indimenticato Piazza Marino, poeta contadino, come egli si definiva (3).
Sull’origine della parola zirudèla si fanno alcune ipotesi. Il musicologo Francesco Balilla Pratella ritiene che come antenata della zirudella vi siano stati i motivi circolari appartenenti alla famiglia delle rotae, dei rondelli e dei rondò medievali che venivano suonati con l’organistrum (4), da cui poi sarebbe derivata la ghironda. Ci troviamo quindi di fronte ad un qualcosa legato a tali antichi motivi che richiamano in qualche modo la circolarità e tale ipotesi è accettata anche dall’Ungarelli che esemplifica così la metamorfosi del nome: gironda (ghironda), girondella, zirondella, zirodella, zirudèla (5).
Personalmente, però, mi convince maggiormente una seconda ipotesi: i più antichi autori non scrivevano zirudèla o zirudella bensì Zè Rudella (Zia Rotella o Signora Rotella), con chiaro riferimento alla ruota della ghironda, strumento con cui si accompagnavano questi rimatori estemporanei. Era una specie di invocazione all’anima dello strumento, appunto quella ruota di legno che, azionata da una manovella, produce il suono mediante lo sfregamento delle corde, come avviene con l’archetto del violino. Non a caso la parola zirudèla è - sempre - la prima e l’ultima del componimento. Come anche quel Tòc e dâi o Tícc e tacc altro non sarebbe che la fonetizzazione onomatopeica del suono della ghironda, che i suonatori provetti ottengono agendo a scatti regolari sulla manovella. Una curiosità: la particolare corda che produce questo ritmico suono ronzante, è detta “mouche” (mosca).
Qual’è la zirudella più famosa? Sicuramente è “Al fatâz di Żardén Margarétta” (il fattaccio dei giardini Margherita), noto anche come “La Flèvia” (la Flavia, dal nome della protagonista), un componimento scopertamente osceno che per decenni passò da mano a mano, segretamente e in fogli dattiloscritti, con qualche lieve variante fra una versione e l’altra, e che fin dal suo apparire non recò mai il nome dell’autore. In realtà qualcuno riconobbe lo stile di Cesare Pezzoli, giornalista e creatore di tante godibili figurine che conobbero non effimera fama nella trasmissione RAI “Ehi, ch’al scûṡa” (divenuta poi “Al Pavajån” fino alla soppressione). L’autore prese spunto da un presunto tentativo di stupro avvenuto a Bologna ai danni di tale Flavia Saguatti, per opera di un certo Vittorio Scarabelli. La cosa ebbe uno strascico giudiziario, puntualmente riportato dal Carlino e a Pezzoli non parve vero raccontare il fatto in una zirudella che, per crudezza di termini ed esemplare stesura, non è seconda a nessuna (6).
Esistono ancora zirudellai? Eccome! Dal 1990, con cadenza annuale, nell’àmbito della festa de l’Unità di Budrio, curo personalmente un concorso provinciale di poesie e zirudelle in dialetto e posso garantire che la razza non è in via di estinzione. Nell’edizione del 1996, l’ambìta “Ucarîna d ôr” fu assegnata postuma al compianto dott. Ettore Poma di Mezzolara che vinse con una zirudella in cui spiegava... come si scrive una zirudella! I zirudellai di oggi si chiamano Gigén Lîvra (Luigi Lepri), Mario Mandreoli detto Pastràn, Gianni Pallotti (vincitore dell’ultima edizione del concorso di cui sopra), Guido Zamboni, Sergio Vecchietti, Tiziano Casella, Sandro Sermenghi e tanti altri tra i quali anche il sottoscritto.
Note
1) Ecco il testo della zirudella del Mezzofanti, nel dialetto bolognese del XVIII secolo e in cui è ancora presente la ripetizione del Tic e dai la Zè Rudèla ad ogni chiusa di quartina, poi abbandonata dagli autori più vicini a noi.
Pr un dsnèr ed campagna
Zè Rodèla fé pladùr (I) Su, Cerghétt e Campanèr, Che i curài e gl’ingranà (IV) E s’ai manca i sunadùr Ed insòmma tutt ancù |
Per un pranzo campagnolo
Zirudella, fate chiasso Sù, chierichetti e campanari, Che i coralli ed i granati E se mancano i suonatori Ed insomma, tutti oggi |
I) Pladûr è il “pelatoio”
dei maiali, luogo rumorosissimo.
II) Arżdûr è il plurale di arżdåur (reggitore).
Con tale termine si indicava il capofamiglia che “reggeva” le sorti della casa e del podere. La moglie
era l’arżdåura, termine che è rimasto come sinonimo di
donna di casa.
III) Mżanèla (mezzanella), nel gergo dei campanari
bolognesi indica la seconda o terza campana in ordine di peso.
Nei concerti di grosse dimensioni si può trovare anche il mżanån (mezzanone).
IV) Curâi e ingranè (coralli e granati) erano gli
ornamenti “poveri” delle spose di un tempo.
2) Giuseppe Ragni (S.Lazzaro di Savena, 1867 - Bologna, 1919) è stato il vero, autentico re dei venditori ambulanti. Dotato di grande comunicativa, era in grado di piazzare qualsiasi tipo di merce: quando aveva esaurito le proprie scorte prestava la sua abilità ai colleghi che invece stentavano a far giornata. Si presentava nelle piazze inalberando un cappello a cilindro sul quale faceva bella mostra una saracca con in bocca un biglietto da cento lire: rappresentavano la povertà e la ricchezza. La sua attività di venditore ambulante, che per anni lo trovò presente nei mercati della provincia, gli permise di raggiungere una certa agiatezza. Ebbe per un certo periodo come apprendista un altro personaggio che, caratterizzandosi diversamente, sarebbe poi divenuto un altro grande della Piazzola: Oreste Biavati. Scrisse centinaia di zirudelle che poi vendeva in fogli volanti al pubblico che assisteva divertito alle sue concioni. In anni recenti il figlio Enrico, in collaborazione con Odette Righi Boi, ha dato alle stampe due volumi in cui ha raccolto aneddoti, zirudelle e ricordi del padre.
3) Piazza Marino (Bazzano, 1909 - Bologna 1993) Fu l’erede di Ragni, alla cui comunicativa aggiunse l’estro musicale, suonando alternativamente il clarino e l’ocarina. Si presentava in formazione di cui fecero parte Bobi (Vincenzo Magnifico), Lorenzo De Antiquis, Carlino e altri, con i quali improvvisava concertini che alternava alla declamazione di zirudelle su argomenti di attualità (veri o presunti tradimenti coniugali, fatti truculenti, eventi politici ecc.). In una di queste composizioni, puntualmente stampate e vendute al pubblico nei fogli volanti, raccontava di una ragazza scomparsa, la cui affannosa ricerca da parte dei famigliari si snoda in un percorso che tocca 68 borgate e paesi, tra i quali anche Gaggio Montano. L’eredità di Piazza Marino è stata raccolta dal figlio Giuliano, musicista, che senza essere un ambulante come il padre, di tanto in tanto ama intrattenere il pubblico con le composizioni paterne. Una precisazione per tacitare i puristi: Piazza Marino aveva il vezzo di anteporre al nome il cognome (per far rima con “poeta contadino”). Ho voluto rispettare questa sua consuetudine e, comunque, tra gli addetti ai lavori non sentirete mai nominare “Marino Piazza...”.
4) L’organistrum è così chiamato perché anticamente sostituiva l’organo nelle chiese povere che non avevano mezzi per dotarsi di tale costoso strumento musicale. Va aggiunto che il suono dell’organistrum (poi della ghironda) può ricordare quello dell’organo a canne.
5) Gaspare Ungarelli, nel suo “Vocabolario del dialetto bolognese” (1901), così scrive alla parola zerudèla: “Componimento particolare del dialetto bolognese, che un tempo si faceva esclusivamente per rallegrare le cerimonie nuziali presso le famiglie dei campagnoli; e, per quanto ne riferisce la tradizione, veniva recitato o cantato dai narcisi, che si accompagnavano colla ghironda, antico strumento musicale ancora in uso nel secolo decorso. Epperò dai diminutivi ghirondella o girondella è venuto il nome di un componimento che, come la ghironda, rigira sopra sé stesso, ripetendo alla fine di ogni strofa la prima parola...”
6) Dopo anni di diffusione semiclandestina, il racconto della boccaccesca disavventura ha conosciuto la gloria della stampa in due recenti edizioni. La prima ha visto la luce, in forma di elegante cartella impreziosita da divertenti illustrazioni, mentre la seconda, curata da un drappello di dotti buontemponi tra i quali spicca il nome di Francesco Guccini, è infarcita di godibilissime note e glosse di chiara matrice goliardica, con un taglio argutamente filologico, l’analisi degli atti del processo e via di questo passo. La presentazione ufficiale di questo volumetto ebbe luogo anni or sono nientemeno che in Archiginnasio, nell’aula dello Stabat Mater, che è da considerarsi il Sancta Sanctorum della cultura bolognese. In quell’occasione, alla presenza di un foltissimo e attento pubblico, l’amico Luigi Lepri lesse da par suo alcuni dei brani più piccanti della zirudella, suscitando negli astanti sincere e liberatorie risate. Il buon Cesarino Pezzoli, che visse sempre nel timore di vedersi attribuite quelle peccaminose rime, forse in quell’occasione avrebbe ammesso di esserne stato l’autore.
Dåu zirudèl ed Fàusto Carpàn - Due zirudelle di Fausto Carpani
Zirudèla di Mirasûl
(dedicata agli Amici Francesco Berti Arnoaldi e Franco Varini)
Zirudèla stè a scultèr
1.
Questo lampione, bersaglio delle sassate dei cinni di via Mirasole, ha dato
il titolo a un romanzo di Franco Varini: "Il lampione di Zito", appunto. |
Zirudèla di Punpîr Zirudèla di Punpîr che pr incû, par dman e aîr, se una gran calamitè la minâza la zitè, sänza avair inciónna pòra da una fnèstra i s bóccen fòra, con in brâz un fangiulén, una nôna o un cagnulén, sänza asptères tant cuncón e guardànd in fâza a inción sänza dîr ne tant ne quant i prutèżen la sô żänt. A m i arcôrd chi brèv ragâz ch'i zighèven, con in brâz pôver crésst, sia mûrt che fré, tirè fòra cal brótt dé ch'salté pr âria la staziån. A m i arcôrd int l'aluviån che l'andghé quèṡi Fiuränza: int al sói fén ala panza par salvèr quèder, librón che oramâi an lèż pió inción... Sänper prónt, ed dé o d nòt, quand ai ciòca al taramòt; quand di cínno, acsé par żûg a una tîż i tâchen fûg; quand ai é un povra vciatta ch'l'à lasè l óss in marlatta mo ai arîva un cåulp ed vänt e la vanza, acsé in mudänt, par dèr âcua ai sû lillà sänza cèv e fòra ed cà. Quand só un âlber d un żardén là ch'al ṡgnôla ai é un gatén che só i râm al s é arapè pén d curâg' e agilitè, mo che dåpp al n é pió bån ed vgnîr żå dal sô padrån. E anc da nó, qué in Barberî, (l é suzès al maiṡ indrî) avän fât i cudilûvi parché ai vgnêva żå un dilûvi dal sufétt e drî dai mûr, un diṡâster ed sicûr, ch'l é stè sóbbit scongiurè dai Punpîr ch'i én arivè. Vlaṅni dånca sänper bän a ste côrp unèst e san, a sta żänt péṅna ed giudézzi, sänper prånta al sacrifézzi par tirèr fòra dai guâi (sänza rånper i sunâi) d'int al fûg, d såtta al pardézz, d una cà dvintè rustézz, chi dṡgraziè ch'i én drî a priglèr e che inción pôl ajutèr. Cum i fénn, dal novzäntdû, (mo l é cómm s'al fóss incû), Mareschèlc, Landózz e Stâgn, trî punpîr, vûster cunpâgn, ch'i pirdénn insàmm la vétta cal brótt dé che pr una dṡdétta l andé a fûg cla drugarî int la vî däl Zimarî. Grâzie, dånca, amîg Punpîr, ch'séppa bèl al vòstr avgnîr, pén ed méll e méll benziån d tótt al pòpol di Ptrugnàn, pr una vétta lónga e bèla tòc e dâi la zirudèla. Questa zirudella la scrissi dopo l'intervento provvidenziale dei Pompieri nella sede della Famajja Bulgnaiṡa dove una grossa perdita d'acqua dall'appartamento sovrastante avrebbe potuto causare seri danni ai preziosi arredi del Sodalizio. |
Par savairen de pió såura Biavèti - Per saperne di
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