Al
Sît Bulgnaiṡ
e i fói
Il Sito Bolognese e i giornali
I fói d Bulåggna, e una vôlta anc La Repóbblica generèl (“Dialetti e saggezze popolari trovano nuova vita su Internet”, 10.03.2001, pp. 38-39), i an bèle dscåurs spass dal nòster Sît, masmamänt Al Rèst dal Carlén e La Repóbblica. Avän catè int la Raid socuànt ligâm a sti artéccol, anc a propòṡit d ètri iniziatîv pr al bulgnaiṡ fâti dai autûr ed ste Sît - I giornali bolognesi, e una volta anche La Repubblica generale (“Dialetti e saggezze popolari trovano nuova vita su Internet”, 10.03.2001, pp. 38-39), hanno parlato spesso del Sito, soprattutto Il Resto del Carlino e La Repubblica. Abbiamo trovato su Internet alcuni link a questi articoli, anche relativi ad altre iniziative per il bolognese lanciate dagli autori di questo Sito.
I fói e la Gramâtica Bulgnaiṡa - I giornali e la Grammatica Bolognese
I fói e al Dizionèri Bulgnaiṡ - I giornali e il Dizionario Bolognese
Il Resto del Carlino, 12.08.2007
L’intervista della domenica
di Cesare Sughi
“Il dialetto va in Rete
Il mouse? Pundghén”
Daniele Vitali, classe 1969, studioso di bolognese
Sulle prime un po’ di meraviglia c’è. Come si può lavorare al Lussemburgo, nello staff dei traduttori della Commissione europea, e nello stesso tempo essere uno dei massimi studiosi di dialetto bolognese? Come può trovare posto la parlata locale del Dottor Balanzone e del Cardinale Lambertini accanto alle esigenze di comunicazione internazionale, rapida, diretta, della società globale, che ha nell’inglese il veicolo linguistico dominante? Ma lo stupore è sbagliato. “Perché - spiega Daniele Vitali, bolognese classe 1969, laureato a Trieste alla scuola superiore di lingue moderne per interpreti e traduttori, con un orientamento particolare verso il tedesco e il russo - nel concerto linguistico in cui siamo immersi ogni giorno proprio in conseguenza della globalizzazione gli idiomi locali hanno maggiore possibilità di esprimersi. Purché sia una globalizzazione che include, non che esclude. Attenti, il leghismo non c’entra proprio”.
Vitali si esprime in modo piano, senza slogan e spigoli inutili. “Non sono tipo da far polemiche”, ripete, quasi ammonendo in anticipo l’interlocutore. Ma qualche appunto da muovere ce l’ha: “In materia di studi sul dialetto l’Università ha prodotto pochissimo, e soprattutto non ha condotto ricerche sul campo, come ho fatto io, andando in giro per gli Appennini con il registratore. Siamo stati noi del Sît Bulgnaiṡ, con i corsi organizzati insieme al Club il Diapason e al teatro Alemanni e giunti ormai all’ottava edizione, a fare i supplenti per ciò che l’Alma Mater non ha fatto”.
Ma come si fa a diffondere il dialetto bolognese se nessuno lo parla?
“C’è un bisogno di identità da cogliere, valorizzare. Il dialetto non è morto, anche se stanno scomparendo le generazioni di coloro che lo parlavano quotidianamente. Per questo va studiato. Ma il bilinguismo, italiano e dialetto, è un dato naturale. Io, per esempio, cresciuto in una famiglia dove i genitori non parlavano più il bolognese, ho provato curiosità per il dialetto che sentivo dai nonni e bisnonni. Sono rimasto affascinato. Così, dopo aver consegnato la tesi, ho telefonato a Luigi Lepri, l’esperto e il parlante più grande di Bologna, e gli ho chiesto di farmi da maestro. Ha accettato, per fortuna”.
E quando ha imparato a parlarlo?
“Nel ’94 mi esprimevo benino. Nel ’95 ho pubblicato il mio primo articolo sulla ‘Rivista italiana di dialettologia’. Poi, in coppia con Lepri, abbiamo pubblicato nel ’99 il ‘Dizionario tascabile italiano-bolognese / bolognese-italiano’. L’editore Vallardi, che l’ha ritirato dal commercio l’anno scorso, ne ha vendute 8mila copie, non poche, direi”.
Ma il bolognese è difficile o no?
“Certo è una lingua complicata, sia nella pronuncia sia nella grafia sia nella grammatica. L’italiano, tanto per fare un esempio, ha 7 fonemi vocalici, il bolognese 16. Ma stando ai risultati del mio manuale ‘Dscårret in bulgnaiṡ?’ uscito due anni fa da Perdisa, e al successo dei nostri corsi mi pare un’impresa affrontabile”.
Perché il nostro dialetto non ha una tradizione alta come la Napoli di De Filippo o la Milano di Carlo Porta?
“Dipende dalle diverse condizioni sociologiche. È anche vero che in tempi recenti la nostra regione, a differenza, poniamo, del Veneto, è stata al primo posto nel perdere i propri dialetti. Ma oggi stiamo recuperando. Abbiamo un cantautore come Fausto Carpani, il cui contatto espressivo e poetico con il dialetto non ha uguali in Italia. E se non abbiamo Tonino Guerra, abbiamo nomi di poeti come Giorgio Campi, Gastone Vandelli, Brunello Sgarzi o, spingendoci a Sassuolo, come Emilio Rentocchini”.
Le manca il dialetto bolognese in Lussemburgo?
“La mia giornata lavorativa prevede l’uso dell’inglese e del francese. Ma non mi sento sradicato. E poi c’è il telefono per parlare in bolognese con gli amici. E c’è il nostro sito, www.bulgnais.com. La Rete aiuta moltissimo il dialetto”.
Con i termini nuovi come si fa?
“Le do una primizia. Dopo l’estate dovrebbe uscire il nuovo dizionario di Lepri e mio, in grande formato, sempre italiano-bolognese e bolognese-italiano. Lì proporremo anche dei neologismi, raccolti ascoltando e confrontando chi il dialetto lo parla, chi con grande merito lo recita in teatro o con i burattini. Il ‘mouse’ del computer, per esempio, si potrebbe dire ‘pundghén’, topolino, ci somiglia. E per ‘metallaro’ si potrebbe usare ‘frazîr’, il ferramenta, carico di ferraglia com’è”.
Ha qualcosa da chiedere al Comune per aiutare il dialetto?
Di sicuro non intendiamo chiedere soldi, i nostri corsi si finanziano da soli. Con il sindaco ci sono stati degli incontri cordiali, e anche con l’assessore alla cultura, che però non ha mostrato molto interesse. Mi piacerebbe - è una proposta che abbiamo già avanzato - che le targhe con i nomi delle strade del centro portassero, sotto il nome in italiano, il nome in dialetto. Sarebbe un modo per recuperare la nostra storia e per affermare l’identità inclusiva di un luogo, la sua intenzione di non escludere le forme linguistiche che lo designano. A Palermo, in centro, le scritte delle strade sono in italiano, arabo ed ebraico”.
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I
corsi al teatro Alemanni
E dal 24 ottobre si torna a scuola
Oltre al resto, Daniele Vitali è direttore didattico dei corsi di dialetto bolognese che, per il primo livello, inizieranno il prossimo 24 ottobre nel teatro degli Alemanni. Nelle sette edizioni precedenti gli allievi sono stati complessivamente circa 500. Accanto a Vitali, la “Bâla dal Bulgnaiṡ”, cioè lo staff, sarà composta da Luigi Lepri e Roberto Serra nelle vesti di insegnanti, dal cantautore Fausto Carpani come testimonial e dal “capo bidello” Aldo Jani Noè. “Incominceremo con la grammatica per passare poi, nella seconda parte, a conversazioni con esponenti della cultura bolognese”. A gennaio e ad aprile 2008 partiranno i corsi del secondo e terzo livello. “L’importante - spiega Vitali - è che chi frequenta trovi dopo le lezioni l’occasione di parlare il dialetto. È un problema a cui stiamo lavorando”. Il primo corso si svolgerà fino al 5 dicembre ogni mercoledì alle 21. L’iscrizione costa 60 euro, 50 per chi ha più di 60 anni; gratuito con “Carta giovani” del Comune. Informazioni al 334 6117726.
Urban Magazin, marzo 2007
Il Resto del Carlino, 06.12.2003
Antoine de Saint-Exupéry - Al Pränzip Fangén In längua bulgnaiṡa Nella traduzione di Roberto Serra, Wesak editions
La prima cosa che viene in mente è “perché?”. La
seconda è “come avete osato?”. La terza, naturalmente è la curiosità. Di sapere
come mai a qualcuno è venuto in mente di tradurre in bolognese Il Piccolo
Principe di Saint‑Exupery e, soprattutto, come è diventato.
Certo che ce n'è voluto, di coraggio. Il Piccolo Principe l'abbiamo letto tutti,
o quasi, intorno ai 15‑18 anni. Qualcuno ha poi avuto la voglia di rileggerselo
anche da grande, scoprendo in fondo quello che realmente è: un libro di grande,
grandissima letteratura, una fiaba raccontata da un adulto a un bambino,
fingendo di saper ancora arrossire. Così la storia assolutamente autobiografica
di Saint Exupery, che davvero era aviatore, precipitò nel deserto del Sahara nel
1935 e, soprattutto, spari nel nulla del Mediterraneo, non ha difficoltà a
trasformarsi nell'incontro con quella figurina di bambino biondo con un mantello
azzurro che gli chiede: “Per favore disegnami una pecora”. E da quel momento,
fra l'aviatore caduto e il Piccolo Principe, tutto è possibile.
Il racconto si dipana fra minuscoli pianeti ed enormi baobab, rose preziose come
l'amicizia e serpenti che regalano un viaggio di ritorno verso le stelle.
Dunque, un piccolo sogno in cui tutto è possibile. E allora è anche possibile
sentirlo in un'altra lingua. Raccontarlo, magari in dialetto.
Operazione azzardata, ma possibile. Tanto che l'hanno fatto: la casa editrice
Wesak (che lo sta traducendo in minuscole lingue e dialetti, dall'occitano al
milanese, dal valdostano al veneto) e un coraggioso traduttore: Roberto Serra,
che ha osato sdoganare il bolognese da un retrogusto fatto di battute un po'
boccaccesche, risate e goliardia. II rischio era evidentemente di abbassare il
tono di questo libretto fatto di pura poesia e di colori pastello, evitando ogni
scivolone nella metafora e nell'ironia.
E Serra, con l'aiuto di Lepri, ha fatto un serissimo lavoro di ricerca,
traducendo dal francese per rispettare la musicalità originaria e cercando i
termini storicamente più precisi.
Ma il Piccolo principe, alla fine, è un condensato di nostalgia. Di quello
sguardo profondo che hanno i bambini finché credono ai misteri, e che ogni
adulto vorrebbe ritrovare. In cui conta la parola raccontata, ma conta
altrettanto come lo si ascolta. Come una fiaba raccontata. Come facevano le
nonne, appunto. E' un viaggio all'origine dello stupore, dove l'uso del
dialetto, incredibilmente, non stona ma aiuta. A ritornare a dove eravamo
partiti. Aggiungendo semmai un pizzico di tenerezza. [Martina Spaggiari]
Nell’accostarmi alla traduzione di un’opera
quale “Il Piccolo Principe” ho dovuto tener ben presenti due esigenze. La prima
è stata quella di mantenere lo stile di Saint-Exupéry, semplice ma intriso di
poesia e liricità. Partendo dal francese, e confrontandolo con le versioni in
altri idiomi, ho dunque cercato di scegliere tra i termini e i modi di dire del
nostro dialetto quelli che meglio rendessero l’atmosfera che pervade
l’originale. D’altro canto, ho voluto scrivere in un bolognese il più possibile
“autentico”, fuggendo gli italianismi ed utilizzando le parole schiettamente
petroniane. Talvolta ho scelto termini vivi nella memoria dei più anziani, e che
molto difficilmente capita di udire al giorno d’oggi, ma che a mio parere
meritano di sopravvivere e di essere rilanciati: un esempio può essere “padîr”,
che in bolognese è sempre significato “digerire”, e che adesso è soppiantato dal
più italianizzante “digerîr”. Lo stesso per le locuzioni e le costruzioni
sintattiche: ho tentato di immaginarmi quanto vedevo scritto da Saint-Exupéry,
come pronunciato da un anziano bolognese.
Una volta terminata la prima stesura, mi sono consultato con Luigi Lepri sulla
traduzione di certi termini o sull’opportunità di utilizzo di altri, nonché con
Daniele Vitali per alcuni dubbi sulla corretta resa ortografica in grafia
bolognese unificata.
Nel complesso, essendo questa la prima traduzione in bolognese di un romanzo, mi
sono trovato dinnanzi a problematiche nuove: credo che il risultato possa essere
letto come una dimostrazione delle potenzialità espressive complete del nostro
dialetto, e come un valido strumento per imparare la nostra parlata o
rinfrescarne le sfumature più gustose. [Roberto Serra]
Con il patrocinio di Comune di Bologna, Quartiere Santo Stefano e la
collaborazione di Club Il Diapason, Al Sit Bulgnais e Teatro Alemanni
Il capolavoro di Saint-Exupéry, tradotto in bolognese da Roberto Serra, con la collaborazione di Luigi Lepri, ed edito dalla Wesak Editions nella tipica veste grafica con gli acquerelli originali dell'autore, sarà presentato al pubblico Sabato 6 dicembre 2003, ore 17.30 presso la Casa dell'Angelo, Bologna, via San Mamolo 24 Interverranno Luigi Lepri, Fausto Carpani, Roberto Serra.
Il Resto del Carlino (07.06.2002)
Check up
per i dialetti
da salvare
di Matteo Incerti
BOLOGNA — Una lotta impari “per salvaguardare una fonte d’acqua limpida”.
Con queste parole, lasciate come un testimone ai giovani d’oggi, il poeta Tonino Guerra definisce il romagnolo e le parlate locali. “Lingue a rischio
d’estinzione come il latino”, spiega.
Guerra, insieme al cantautore Francesco Guccini, ha aderito al convegno organizzato oggi al Teatro Alemanni di Bologna (ore 16) dal consigliere regionale Bruno Carlo Sabbi (indipendenti di sinistra). Tema: “I dialetti
dell’ Emilia-Romagna, un patrimonio da tutelare e valorizzare”. Sabbi chiederà alla Regione di finanziare, per la prima volta, la legge regionale 45/94 sulla “Tutela e valorizzazione dei dialetti
dell’Emilia-Romagna”. Una norma che permetterebbe di stanziare fondi a favore di attività didattiche, teatrali, audiovisive, linguistiche. Al convegno sarà presente anche il presidente della Regione, Vasco Errani. “Sempre meno persone utilizzano queste lingue che erano patrimonio della civiltà contadina,
se continua così moriranno”, spiega Guerra. Proprio due mesi fa l’Unesco, a pagina 50
dell’Atlante delle lingue del mondo a rischio d’estinzione a cura del linguista Stephen Wurm, ha inserito
l’emiliano ed il romagnolo tra i 3 000 idiomi del pianeta in pericolo. “Condivido le iniziative per
l’insegnamento del dialetto”, commenta Guerra.
Dalla Romagna all’Emilia. Annche il cantautore Francesco Guccini vede tutta in salita la strada per la salvaguardia di
quelle che, nel nuovo articolo 12 della Costituzione, già votato dalla Camera, vengono ufficialmente definite “lingue locali”. “Una missione difficilissima, quasi
impossibile”, dice Guccini. “Se si è estinto il latino, per le parlate emiliane non vedo molta speranza, ma valorizzarle è
positivo”. Guccini, autore di un dizionario del dialetto pavanese, vede buio forse più di Guerra. “In Veneto, Piemonte, a Napoli molti bambini utilizzano ancora le parlate locali, ma in Emilia è un fenomeno sempre più raro, specie nelle città, per questo sono realista e temo
scompariranno”, dice. Eppure, due mesi fa a un corso di bolognese, organizzato dagli
appassionati del “Sit Bulgnais” (http://beam.to/bulgnais), si sono iscritte oltre 100
persone. Il dizionario tascabile “italiano-bolognese” a cura di Daniele Vitali e Luigi Lepri edito dalla
Vallardi ha venduto migliaia di copie.
Su Internet sono nati anche dizionari dei bambini multilingue, che oltre all’inglese e
l’arabo hanno versioni in “mudnes”, reggiano, “bulgnais”, romagnolo, “frares”, “pramsàn (www.logos.net/bimbi). In diverse scuole elementari della
Romagna si svolgono corsi facoltativi a cura
dell’Istituto intitolato a Friedrich Schürr, glottologo viennese che nei primi del
’900 diede al romagnolo lo status di lingua romanza. Gianfranco Zavalloni, direttore didattico e preside di scuola media a Gatteo
a Mare, per
l’insegnamento del romagnolo sta proponendo veri e propri metodi didattici chiamati “Scuola creativa” (http://www.scuolacreativa.it). Due anni fa la Provincia di
Modena ha organizzato anche un corso
d’aggiornamento didattico di “mudnes” destinato agli insegnanti. Ancora, sul sito
dell’Alto Commissariato dei Diritti Umani dell’ONU, c’è la Dichiarazione dei Diritti
dell’ Uomo in sanmarinese/romagnolo.
Chi è ottimista è un cantore dell’emilianità e della Bassa padana come lo scrittore Giuseppe Pederiali: “Putroppo non potrò essere presente
all’incontro, ma appoggio l’iniziativa. Negli ultimi anni ci sono segnali di ripresa, lo noto quando vado a presentare i miei libri. Le nostre parlate vanno insegnate facoltativamente nelle scuole, e salvaguardate come
l’ambiente. Quando scrivo lo faccio in italiano ma penso in dialetto, ammette
l’autore dell’Osteria della Fola.
Il Resto del Carlino (07.03.2002)
Il primo corso di bolognese inizia oggi
Il primo corso di bolognese inizia oggi nei locali del teatro Alemanni e si protrarrà per otto incontri previsti il 7, 14, 21 marzo nonché il 4, 11 e 18 aprile e il 2 e 9 maggio. Sempre di giovedì e sempre alle ore 21. Al termine i partecipanti riceveranno un attestato di merito rilasciato dai docenti. Nella prima parte di ciascuna lezione si vedranno la struttura grammaticale e il lessico del bolognese, per arrivare, a fine corso, a capire e leggere senza fatica. Si farà conversazione, per cominciare a esercitarsi attivamente. La seconda parte della lezione darà uno sguardo al mondo culturale della nostra città, con la partecipazione di personaggi di spicco della musica, del teatro e della poesia petroniani. Sono annunciati Carla Astolfi, Fausto Carpani, Romano Danielli, Pierluigi Foschi e Luigi Lepri.
Ètr artéccol såura al Cåurs ed bulgnaiṡ - Altri articoli sul Corso di bolognese
L’Avvenire (2001)
Roberto Serra: «Così sono riuscito a coniugare la rete con il recupero della tradizione»
Sorpresa, nel sito si riscopre il dialetto
(M. C.) Riscoprire il dialetto per recuperare una lingua carica della tradizione bolognese, e così anche la coscienza di essere inseriti in una lunga storia, sociale, civile ed ecclesiale: è
l’invito di Roberto Serra, autore di una recente traduzione in dialetto bolognese cittadino di alcune delle principali preghiere della Chiesa, come il Padre nostro,
l’Ave Maria e il Gloria. Esse sono disponibili sul sito Internet www.beam.to/bulgnais, curato dallo stesso Serra e da Daniele Vitali, uno degli autori del dizionario di Bolognese Vallardi, uscito lo scorso anno.
«Tutto è nato dalla volontà di salvaguardare un patrimonio prezioso per Bologna quale è il suo dialetto, oggi purtroppo avviato alla dimenticanza - spiega Serra -. Si tratta di un desiderio che ha trovato una forma di espressione dopo
l’incontro con uno studioso come Daniele Vitali, autore di un sito in Bolognese. Abbiamo iniziato a collaborare e in un anno abbiamo avuto un riscontro che non immaginavamo: più di 9000 accessi al nostro sito.
L’impressione è di avere colto un desiderio diffuso tra i bolognesi, e, cosa sorprendente, in particolare tra i giovani». A giudizio di Serra la scomparsa del dialetto sarebbe una grave perdita culturale e sociale: «In tempi recenti il Bolognese è stato trattato come una lingua rozza e inferiore rispetto
all’italiano, quando invece, come affermano i linguisti, esso ha pari dignità rispetto agli altri idiomi locali, anche quello toscano, esteso poi a livello nazionale per ragioni politico-sociali».
Serra, nel suo lavoro di traduzione, partendo dal testo latino si è premurato di evitare «italianizzazioni», conservando tutte le espressioni idiomatiche bolognesi. è anche grazie a queste ultime, frutto del nostro contesto storico-tradizionale, che a parere di Serra è possibile assaporare il gusto delle nostre radici, sposando in un qualche modo anche
l’invito del Cardinale a Bologna di riscoprire la sua «petronianità». «Nessuno di noi pensa, proponendo le preghiere in dialetto, che esse possano essere usate correntemente: è giusto che ciascuno preghi nella lingua che gli è più naturale. Ciò non toglie che esse, oltre ad essere un tassello in più per la salvaguardia del Bolognese, possano rappresentare per qualcuno
un’espressione familiare; penso ai meno giovani e a chi abita in campagna. E poi non si può escludere che in futuro si riscopra una nuova attenzione alla tradizione, e che il dialetto riacquisti forza».
(seguono le preghiere in bolognese)
La Repubblica (22.08.2000)
Con zirudele nel sito
ecco il dialetto in rete
bologna 2000
L’HOME PAGE qui si chiama ‘Premma pagina’, il link è il ‘ligam’, il mouse è il ‘pundghen’ e il tanto temuto Millenium Bug diventa il ‘Bigat del Milenèr’. Esploratori della rete aggiornate il vostro linguaggio al bolognese se volete accedere al primo sito totalmente redatto in dialetto petroniano. Si chiama ‘Al sit bulgnais’, è aggiornato quotidianamente. I contenuti neanche a dirlo sono il dialetto e dintorni, con una sezione sulla fonetica corredata da immagini su come posizionare la lingua per la giusta pronuncia, quelle sugli appuntamenti culturali, dalla musica, ai libri, su chi compone in dialetto, come Luigi Lepri o Fausto Carpani e una nota ‘politica’ che invita le Istituzioni a fare qualcosa per salvare il dialetto. Scritto prima in dialetto poi in italiano il sito, scusate, ‘al sit’, si apre con una zirudela di benvenuto ‘Zirudela, chero amig banvgnò dantr al noster sit’. E chi vuole lasciare traccia del proprio passaggio può passare al ‘liber di visitatur’ dove si notano firme di estimatori del bolognese, non tutti nati sotto le due torri. Considerando il dialetto una lingua ‘malata’ gli oltre 4000 visitatori non sono poi pochi. L’indirizzo è www.geocities.com/athens/pantheon/7474/bulgnais.html. (p. n.)
La Repubblica (31.12.1999)
Ortografia, curiosità e
appuntamenti in un sito dedicato al dialetto petroniano
Anche il bulgnais è su Internet
di Daniele Vitali
L’ultima novità
di Internet, la grande ragnatela mondiale che dà voce alle attività culturali
più disparate e sconosciute, è il Sito dedicato al Dialetto Bolognese, che si
trova all’indirizzo http://Beam.to/bulgnais. Ma il sito non è poi
tanto sconosciuto. Dal 2 settembre, giorno della sua entrata in rete, ha già
avuto più di 700 visite, come ci avvisa un contatore infondo alla Prémma
pâgina, il termine bolognese per home page. Recentemente è stato
introdotto anche un Lîber di visitadûr, cioè un guestbook nel
quale chiunque può lasciare messaggi e leggere quelli di chi lo ha preceduto.
Anche la rete comunale Iperbole ha già provveduto a creare un link con il Sît
Bulgnais.
Nella prima pagina si trova un testo bilingue e bicolore
(rosso per il bolognese, verde per l’italiano) che consiglia, per visualizzare
correttamente il sito, di scaricare sul proprio computer i caratteri grafici
Manna per scrivere il nostro dialetto con tutti i puntini e i pallini necessari.
Il Sito bolognese infatti usa l’ortografia filologica divulgata dal recente
vocabolario tascabile del dialetto bolognese, scritto da Luigi Lepri e dal
sottoscritto, pubblicato recentemente da Vallardi. Dalla stessa prima pagina è
anche possibile trovare notizie della rubrica Dì ban só, fantèsma! che
appare ogni domenica su Repubblica Bologna. L’iniziativa è nata dalla
constatazione che Internet ha ormai assunto un importante ruolo nella ricerca
delle informazioni e si configura come la tecnologia del futuro, mentre il
bolognese recalcitra a entrare nell’era della globalizzazione. Succede così
che molte persone interessate al dialetto della nostra città non sappiano dove
si svolgono gli spettacoli teatrali dialettali, le recite dei burattini, i
concerti di Carpani e Zuffi e del loro fortunato gruppo musicale, oppure quali giornali,
radio e canali televisivi diffondano materiale in bolognese. A tutte queste
mancanze rimedia il sito, con la sua pagina degli appuntamenti.
Quest’ultima contiene fra l’altro immagini della nostra
città e molti altri collegamenti che possono guidare alla scoperta dei libri,
della musica e della letteratura bolognesi. Sono previste anche pagine sull’ortografia,
la pronuncia, la grammatica, e sulla stessa Bologna. Non mancano vari appelli a
spedire materiale, elettronico e cartaceo, ai curatori del sito, in modo che l’informazione
fornita sia sempre più completa e tenga conto delle molteplici attività che
fioriscono attorno alla parlata di Bologna.
Il Resto del Carlino (01.10.1999)
La nostra lingua
Un dialetto per il Duemila
di Cesare Sughi
“Un popolo che non beve il suo vino e
non mangia i suoi formaggi ha un grave problema di identità”. Firmato, in una
delle Tre storie di fantasmi appena uscite da Feltrinelli, Manuel Vázquez
Montalbán, cioè il più famoso e grande scrittore di Spagna che, oltre ad
essere un gourmet, è fieramente radicato nelle sue origini, anche
linguistiche, catalane.
Sicché non ci si stupirebbe di sentirgli aggiungere, alla coppia gastronomica,
anche un terzo termine, il dialetto. Che racconta l’identità di un territorio
e di un gruppo registrandone, con la prontezza di un sismografo della
quotidianità, storia e storie, mutamenti e contaminazioni, innovazioni,
passatismi, gusti.
Ed è proprio questo - l’aver trattato il nostro dialetto come una lingua a
tutti gli effetti, come un’entità in movimento, carica di segni del tempo e
dunque di realtà collettiva - il merito che va riconosciuto al Dizionario
bolognese (edito da Vallardi) realizzato da due cultori doc, Luigi Lepri e
Daniele Vitali. Le 543 pagine formato mignon e le oltre 13 000 voci -
italiano-bolognese e bolognese-italiano - sono davvero una miniera a più usi:
aiutano a distinguere fra termini ormai abbandonati e altri rari, di uso
prevalentemente letterario; danno il senso della molteplicità delle parlate,
dalle rustiche alle montane, che fanno capo al tronco dialettale petroniano;
spiegano come trarre il femminile o il plurale; e soprattutto, poiché di
dialetto qui si tratta - dunque di un idioma prima di tutto orale - offrono con
particolare ricchezza di segni e dettagli le indicazioni relative alla pronuncia
e grafia, indispensabili - e ardue - per il bolognese.
Non serve, a questo punto, praticare il gioco del “come si dice”, o di cosa
c’è e cosa manca. Chi il bolognese lo parla, sa come muoversi su queste
densissime paginette. Meglio dire, piuttosto, un altro pregio del dizionario, e
aprire un altro ragionamento. E cioè che, come avviene con i vocabolari, qui il
dialetto è sottratto al folclore benemerito - e insostituibile - ma talvolta un
po’ troppo pittoresco della “vecchia Bologna”, o alle raccolte di aneddoti
tutte trine e nostalgia. Il dialetto è morto? Può darsi, e anzi un giovane
alle prese con l’inglese del computer risponderebbe di sì. Ma ancora si parla
e parla di noi. E allora viva il dialetto, purché ci si decida sempre più a
conservarlo davvero, a studiarlo nelle università, ad alimentare ricerche e
tesi di laurea, a spronare recuperi filologici, ad alimentare convegni robusti,
a dedicare saggi ben ferrati, per esempio, ai versi di Quinto Ferrari; a
sperimentare una nuova poesia dialettale, come nella Romagna di Tonino Guerra e
Raffaello Baldini, o come ha fatto nelle Marche Franco Scataglini.
E perché non rilanciare i testi guida di Franco Cristofori o i saggi capitali
di Alberto Menarini, o quell’idea di Dizionario storico del nostro dialetto a
cui lavorarono, 25 anni fa, alcuni dei migliori linguisti dell’Alma Mater:
Luigi Heilmann e Francesco Coco. Allora, anche la parlata bolognese - inceppata
dal non essere né gergo di una grande metropoli né voce di una comunità di
paese - potrebbe - dovrebbe - entrare nella città della cultura del 2000. E,
come il vino e i formaggi di Montalbán, aiutarla a eliminare qualche problema
d’identità di troppo.
Dal Sît äli an dscåurs anc socuanti rivésst, pr eṡänpi Italiano&Oltre ed mâż-żóggn 2002 (“Dialetto on line”) e Computer idea (“Lingue o dialetti?”) dl 8-12 żnèr 2003 - Del Sito hanno parlato anche alcune riviste, come Italiano&Oltre di maggio-giugno 2002 (“Dialetto on line”) e Computer idea (“Lingue o dialetti?”) dell’8-12 gennaio 2003.